Roma: si conclude il maxi processo al clan dei Casamonica con più di 40 condanne
La decima sezione penale del Tribunale di Roma ha riconosciuto lo stampo mafioso dell'associazione familiare e ha condannato tutti gli esponenti a pene che vanno dai 30 anni in giù per traffico e spaccio di droga, estorsione, usura e detenzione di armiRoma, il maxi processo al clan dei Casamonica si conclude con più di 40 condanne. I giudici riconoscono l’associazione mafiosa.
Ieri, lunedì 20 settembre, dopo 7 ore di camera di consiglio è arrivata la sentenza della Decima sezione penale del tribunale di Roma sul maxi processo per i reati commessi dal clan Casamonica. Pene per oltre 400 anni complessivi a carico di ben 44 imputati con accuse che vanno a vario titolo dall’associazione mafiosa dedita al traffico e allo spaccio di droga, all’estorsione, l’usura e detenzione illegale di armi.
L’epilogo processuale
La giustizia penale ha riconosciuto che quello dei Casamonica è un clan di mafia, ovvero organizzato come associazione mafiosa. Già questo riconoscimento c’era stato con l’ordinanza del gip e le prime condanne con il rito abbreviato e ora anche il Tribunale è su questa linea, con la condanna a 400 anni complessivi di una quarantina fra capi e affiliati alla famiglia, imputati fra l’altro per i reati di estorsione, usura e detenzione illegale di armi.
Ieri, dopo sette ore di camera di consiglio, i giudici della X sezione penale hanno condannato a trent’anni di carcere il boss Domenico Casamonica, accogliendo in pieno l’istanza della Procura, che complessivamente aveva chiesto oltre 630 anni di reclusione. Piuttosto severe anche le pene per gli altri capi: 20 anni e mezzo per Giuseppe Casamonica, 12 anni e 9 mesi per Luciano Casamonica, 25 anni e 9 mesi per Salvatore Casamonica, 23 anni e 8 mesi per Pasquale Casamonica, 19 anni per Massimiliano Casamonica.
In aula, presente alla lettura della sentenza, anche il procuratore aggiunto della Dda di Roma, Ilaria Calò.
Il processo ha avuto il via dopo gli arresti compiuti dai carabinieri del Comando provinciale di Roma nell’ambito dell’indagine ‘Gramigna’, coordinata e diretta dal procuratore di Roma Michele Prestipino e dai sostituti procuratori Giovanni Musarò e Stefano Luciani. Il pm Musarò in aula nella sua requisitoria dello scorso maggio aveva citato anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Massimiliano Fazzari (ex affiliato calabrese) e Debora Cerreoni (moglie di Massimilino Casamonica), che hanno descritto la struttura e le modalità con cui agivano gli appartenenti al clan.
Si è parlato subito di “maxi processo” perché i rinviati a giudizio erano 63: a fine 2019 altri 14 imputati (tra cui la Cerreoni) erano stati condannati con rito abbreviato, mentre in tre (tra cui Fazzari) avevano scelto il patteggiamento.
Le reazioni degli amministratori locali
La sindaca di Roma Virginia Raggi esprime tutta la sua soddisfazione per le condanne esemplari di ieri.
Nel maxi processo iniziato a ottobre 2019, il Comune di Roma si era costituito parte civile grazie a indagini scattate cinque anni prima Queste le dichiarazioni della Raggi: “Io di fronte al clan dei Casamonica non mi sono mai piegata, non ho mai indietreggiato di un passo, non ho mai avuto paura di loro. Ho sempre lottato per il bene dei romani a volto scoperto, ho chiamato per nome e cognome chi ha umiliato e offeso la città. Vivo sotto scorta per questo. Oggi il tribunale di Roma ha confermato l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Ha confermato che è mafia. Questa sentenza non cancella gli anni di soprusi e violenze, ma è un risultato importante per chi vive in questa città. È la conferma che a Roma il clima è cambiato. Oggi si chiude un capitolo, ma la lotta per contrastare criminalità e mafia non si ferma. Io sarò sempre in prima linea”.
“È una sentenza storica che finalmente mette nero su bianco che Casamonica equivale a mafia ed è un segnale importante da dare ai cittadini del nostro territorio”, ha precisato il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. E l’avvocato Giulio Vasaturo, legale di parte civile per l’associazione antimafia Libera, sottolinea anche come il verdetto serva a “fare luce su una sequela di episodi di estorsione e violenza rimasti sino ad oggi impuniti, anche a causa della dilagante omertà imposta dal clan nel quadrante sud-est della capitale”.
Redazione
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