Nelle ultime ore, una notizia ha scioccato il mondo del giornalismo: Vittorio Feltri rischia il carcere per un titolo di un vecchio articolo del 2017 su Virginia Raggi. "Piuttosto che andarci mi sparo", il commento del direttore.
Cosa è accaduto e quali sono le ultime novità giurisprudenziali sulla diffamazione a mezzo stampa
“Piuttosto che andare in galera mi sparo alla testa”. Questo quanto dichiarato ai microfoni di Radio Radio dal direttore responsabile di “Libero” Vittorio Feltri, parlando della richiesta avanzata nei suoi confronti dalla procura del Tribunale di Catania di 3 anni e 4 mesi di carcere, oltre a 5mila euro di multa, per il titolo “diffamatorio” “Patata bollente” sui guai di Virginia Raggi nel 2017.
Virginia Raggi aveva denunciato il giornalista per diffamazione a mezzo stampa e ora il procedimento sta volgendo al termine e l’ultima udienza si svolgerà il prossimo 5 ottobre a Catania poi seguirà la camera di consiglio del Tribunale per emettere la sentenza. Nel titolo incriminato erano state scritte le parole "patata bollente" in riferimento alla annosa questione dello smaltimento dei rifiuti a Roma.
Feltri, giornalista da una vita e dalla lunga carriera, spera di potersi appellare ad una recente pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 150 del luglio 2021) che di fatto dichiara illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa n. 47 del 1948 (la Consulta esclude la pena detentiva per il reato di diffamazione commesso a mezzo stampa). Di contro, però, i pm vorrebbero applicare proprio questa norma, che prevede la “pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa” nel caso di una diffamazione commessa “col mezzo della stampa”.
Per l’articolo con il titolo diffamatorio su Virginia Raggi chiesta la pena detentiva di 3 anni e 4 mesi
Di fronte alle richieste di condanna, il giornalista Vittorio Feltri ha dichiarato: “Tre anni e quattro mesi di reclusione più 5mila euro di multa per me e otto mesi di carcere chiesti per Senaldi? Mai successa prima una richiesta del genere”.
“Probabilmente il pm non ha letto la sentenza della Corte Costituzionale, altrimenti non avrebbe fatto una richiesta simile”, ha aggiunto Feltri.
Le affermazioni si riferiscono al pronunciamento della Consulta contro il carcere per i giornalisti che siano condannati per diffamazione, salvo il caso di vere e proprie campagne diffamatorie. La reazione di Feltri è di incredulità e stupore all'indomani della richiesta di condanna a suo carico e dell'ex direttore di Libero Pietro Senaldi nel processo per diffamazione per il titolo “Patata bollente”, riferito alla sindaca di Roma Virginia Raggi in un articolo pubblicato da Libero il 10 febbraio 2017.
Il giornalista che ha alle spalle una carriera molto lunga e proficua, ha ammesso che non gli era mai successo prima di ricevere una richiesta del genere e ha proseguito: “mi vengono in mente tanti possibili motivi su cui non mi voglio soffermare, ma di fatto è una richiesta assurda, sproporzionata e, pure ammesso che il reato sia stato commesso, di certo non meriterebbe una condanna simile. L'unico sospetto che mi viene è che questo pm non abbia letto la sentenza della Corte Costituzionale”.
“Adesso aspettiamo la sentenza dopo la prossima udienza del 5 ottobre - prosegue Feltri - Ma ripeto, diffamazione non c'è stata e io non ho mai attaccato la Raggi, né abbiamo mai fatto una campagna contro di lei, anche perché chi fa il sindaco a Roma, se non ha i termovalorizzatori, dove li mette i rifiuti? La soluzione per smaltirli sono i cinghiali, che dovrebbero essere premiati. E oltre tutto nemmeno considero offensivo il titolo dell'articolo... che si riferiva al tubero e a nient'altro. Siamo al primo grado - conclude - e mi auguro che esista un giudice che non sia ottenebrato dal pregiudizio”, ha concluso il giornalista con un certo sarcasmo.
“Non c’era nessuna allusione a temi sessuali. Nessuna. Anche perché, l’ho già detto e ripetuto, il sesso è di una noia estrema”, ha aggiunto Feltri parlando col Corriere della sera.