“In questi laboratori non esistono le signorine, ma le dottoresse” è questo il cartello che è salito all’attenzione di tutti nelle scorse ore e che sta facendo molto discutere. La cosa, in realtà, risale alla metà di febbraio, quando la protagonista del gesto lavorava in un laboratorio di vaccinazioni assieme a un collega. La dottoressa, stanca di essere chiamata “signorina” ha pensato di scrivere il cartello di cui sopra per sottolineare la parità del suo ruolo rispetto a quello dei colleghi uomini. In una recente intervista, la dottoressa Maria Ilaria di Laora ha raccontato di come, d’accordo con tutte le sue colleghe, abbia voluto sensibilizzare le persone su questo argomento “Un collega di sesso maschile viene subito chiamato dottore”, ha detto nel corso dell’intervista; “mentre una donna che svolge lo stesso ruolo viene chiamata signorina, ma anche le donne possono ricoprire certi incarichi nonostante sia considerati esclusiva degli uomini”. È proprio questo il punto: istruire le persone e metterle di fronte alla realtà dei fatti per cui non esistono differenze tra donne e uomini.
Signorina o dottoressa, il problema è la lingua italiana?
Nell’italiano di uso comune è molto più difficile trovare “signorino” piuttosto che “signorina”. Probabilmente perché è un termine che, nel corso del tempo, è stato gradualmente sostituito da tutta una diversa terminologia e diversi significati (più o meno gratificanti). La stessa cosa non si può dire per la sua accezione femminile in quanto il termine “signorina” in molte zone d’Italia ancora oggi indica una donna più o meno giovane NON sposata. Non è quindi un problema di ruoli o di importanza è un fattore radicato nella cultura e nel linguaggio di uso comune che (pur non volendo) discrimina le donne non sposate come “signorine” e gli uomini non sposati come “ragazzi”.
Il problema poi diventa ancora più evidente se si prende in considerazione la fascia di popolazione più avanti con l’età che, senza malizia e senza secondi fini, utilizza il termine più comunemente. Per gli anziani, infatti, il termine “signorina” non vuole essere discriminante nei confronti delle donne in virtù di una mancata parità di genere, ma sta a indicare una cortesia con cui vengono chiamate le ragazze giovani. È chiaro che a fronte del politicamente corretto e delle pari opportunità queste dottoresse siano stanche di non essere valorizzate per il loro ruolo, ma è anche vero che questa “discriminazione” andrebbe contestualizzata nei parametri di cui sopra.
L’Italia è un paese “vecchio”, dove gli anziani costituiscono ancora una fetta importantissima della popolazione. Per questo non bisogna stupirsi se accadono cose del genere in un contesto ospedaliero, ambienti molto più frequentati da una certa fascia di popolazione.
A questo punto è chiaro che la parità di genere debba essere un argomento centrale per la politica e per le persone. Non ha però molto senso parlare in questi termini di una fascia di popolazione per cui il termine “signorina” è di uso comune nella sua accezione POSITIVA e non come discriminazione.
Il cartello affisso in ospedale è diventato virale e ha riportato all’attenzione di tutti il tema dell’uguaglianza e delle pari opportunità. Ma anche qui è diventato virale sui SOCIAL e non nella vita reale, non dando alle persone “incriminate" la possibilità di spiegare il loro punto di vista dettato esclusivamente dall’abitudine e da una certa grammatica diventata di uso comune. Il discorso è molto più ampio e cambia in prospettiva di differenze salariali, differenze nei diritti e quant’altro ma, in questi termini, è probabilmente qualcosa dettato dall’ingenuità e dalla buona fede.