Possono essere finalmente smascherati i maleducati proprietari dei cani responsabili di imbrattare marciapiedi e giardini pubblici grazie al test del Dna che permettere di identificare gli animali analizzando il materiale genetico estratto dalle loro feci. Lo rende noto la Coldiretti nel sottolineare che grazie all’Associazione Italiana Allevatori (AIA) è stata realizzata in via sperimentale con il laboratorio di genetica e servizi (lgs) di Cremona la prima banca dati del Dna di circa 1.500 cani del territorio del comune di Malnate (Va). In questo modo – sottolinea la Coldiretti – è stato possibile rintracciare, identificare e multare, in collaborazione con l’amministrazione comunale i trasgressori dell’obbligo di raccolta delle deiezioni.
Si tratta di una iniziativa destinata ad essere replicata in molte altre realtà dove è troppo facile restare impuniti nonostante le sanzioni. Con le nuove tecnologie è più facile applicare le norme del Codice penale – riferisce la Coldiretti – che punisce chi lascia gli escrementi del cane non raccolti in un luogo pubblico (per strada, sul marciapiede, nell’androne di un palazzo, ecc.). In particolare – precisa la Coldiretti – commette reato chiunque deturpa o imbratta cose mobili altrui con una multa fino a 103 euro ma la sanzione sale però, da 300 a 1.000 euro se il fatto viene commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati. Tempi duri dunque per i proprietari dei 10,7 milioni di cani presenti in Italia secondo le elaborazioni Coldiretti su dati del Ministero della Salute. Portare a spasso l’amico più fedele dell’uomo non sarà più una passeggiata rilassante per chi fa il furbo e fa finta di non vedere i “ricordini” lasciati da Fido. A inchiodare i padroni che non rispettano le regole del vivere civile saranno infatti – spiega la Coldiretti – le stesse deiezioni lasciate sul terreno. Il corpo del reato infatti – continua la Coldiretti – finirà sotto il microscopio e costituirà la prova per mettere sotto accusa i responsabili di un comportamento incivile.
Oltre che per azioni a favore di una migliore “educazione ambientale” al fine di una maggiore salubrità ed igiene nelle città, l’analisi del dna – sottolinea Coldiretti – potrebbe avere ulteriori applicazioni per la gestione della popolazione canina in altre situazioni gravi come l’abbandono degli animali, il randagismo e le attività illecite come competizioni clandestine. Un ruolo determinante – conclude la Coldiretti – si avrebbe anche nella tutela degli allevamenti per individuare le ibridazioni con predatori selvatici (in particolare lupi), che rappresentano per numero e frequenza di casi il pericolo più rilevante nelle campagne, dove si moltiplicano le aggressioni a mandrie e greggi, con danni pesantissimi.